domenica 6 febbraio 2011

Crisi nel Mediterraneo, una storia già scritta.


 I recenti avvenimenti nei paesi sulla sponda sud del Mediterraneo non ci devono cogliere di sorpresa, in qualche modo era già tutto previsto.
Da anni, tramite organizzazioni non governative presenti ed impegnate nella cooperazione in molte di quelle realtà , già conoscevamo le tensioni e le minacce alla stabilità dell’area provocate ovunque – come dimostra l’effetto domino che si è innescato – da peggiorate condizioni di vita, dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari di base, dalla disoccupazione, dalla corruzione e da metodi di governo autoritari e repressivi.
Dalla Tunisia all’Egitto, dall’Algeria allo Yemen, le popolazioni stanno infatti protestando contro la povertà, ma anche contro l’assenza delle libertà fondamentali e contro sistemi politici corrotti e oppressivi.
A tutto ciò non sono estranei i  paesi dell’Europa, che hanno basato il mantenimento della stabilità dell’area sul sostegno a regimi autoritari per garantire la nostra sicurezza contro il terrorismo, il fondamentalismo e il crescente fenomeno dell’emigrazione, ma che hanno tuttavia così contribuito a creare le condizioni stesse per una instabilità  nella regione.
Per questo motivo dovremmo unirci alle voci degli egiziani, dei tunisini e di tutti coloro che in questi paesi si stanno battendo per la libertà e i diritti fondamentali e per un’immediata riforma democratica.
Io credo che contribuire a una stabilizzazione della regione mediterranea su basi democratiche più eque e sostenibili rappresenti per noi tutti la maggiore garanzia di pace e prosperità.
Quanto sta avvenendo nell’area è una nuova e chiara dimostrazione che la povertà, le ineguaglianze e i disagi sociali nel mondo riguardano tutti e hanno conseguenze pratiche anche per noi italiani. L’accentuarsi e il diffondersi delle tensioni di questi giorni – oltre ad avere un impatto devastante sulla povertà dei paesi direttamente interessati – avrà gravi effetti anche sulla nostra già fragile economia.
Pertanto bisognerebbe chiedere al governo italiano e alle istituzioni europee di unirsi nella solidarietà a questi popoli, anche tramite un potenziato ruolo della cooperazione internazionale come strumento di prevenzione delle tensioni, strumento su cui oggi il nostro paese credo stia disinvestendo.
Sostenere in ogni modo e quanto prima il processo di transizione democratica in atto, nel rispetto delle diverse istanze politiche, sociali e religiose presenti nell’area sarà garanzia di  stabilità e convivenza civile.

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